Fare affari nei Paesi in via di sviluppo richiede capacità e flessibilità. Rispetto agli standard dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), la burocrazia in questi Paesi è quasi dieci volte più lunga di quella a cui siamo abituati, mostrando inoltre uno scarso interesse a mettere in pratica le proprie norme di conformità e le procedure interne, fornendo di conseguenza un servizio scadente.
In questi termini, le norme de jure si scontrano con quelle de facto. In India, ottenere un permesso di costruzione richiede in media più di 20 autorizzazioni e quasi sei mesi di attesa; allo stesso tempo, non è raro ottenere la patente di guida in un giorno a Delhi semplicemente assumendo un facilitatore.
La mancanza di responsabilità rende i processi lenti e inefficienti e considerato che le promozioni sono basate sulla logica rentier, sul tribalismo/settarismo o sulla corruzione, il risultato è empiricamente misurabile: i servizi mancano di efficienza e di impatto. In Medio Oriente e in Africa, la maggior parte dei servizi si basa su un’economia non ufficiale, rendendo le cose difficilmente comprensibili ad una società occidentale e alle sue regole di conformità.
In poche parole, questo è uno scontro di cultura imprenditoriale.
Nonostante l’evidenza, gli investimenti diretti esteri devono mettere in atto una pratica di responsabilità sociale delle imprese. Secondo The Guardian, i Paesi in via di sviluppo ospitano l’80% della popolazione mondiale ed entro il 2050 altre 3 miliardi di persone vi vivranno.
In effetti, la responsabilità sociale delle imprese contribuisce molto al mantenimento della reputazione e dell’inclusione sociale di quest’ultime, ma difficilmente ha un impatto sullo sradicamento delle abitudini dannose: nel Delta del Niger, le compagnie petrolifere hanno costruito scuole, ma la mancanza di un sistema aperto e competitivo di reclutamento del personale nel servizio civile ha lasciato molti studenti da parte. Ciò non significa che la RSI (Resposabilità Sociale d’Impresa) sia un comportamento scorretto; al contrario, è il minimo che un’azienda possa fare per adeguare le proprie regole di conformità alla realtà locale.
I settori in crescita
Le idee per fare affari in questi Paesi sono poche ma brillanti e alcune meritano di essere menzionate. In primis il settore energetico, che nei Paesi emergenti non deve essere visto come un mercato ad alta intensità di materie prime (con particolare riguardo ai Paesi produttori di materie prime fossili); di fatto, le energie alternative e le iniziative di risparmio energetico sono attualmente molto richieste e la tendenza è destinata ad aumentare. Dato il diffondersi della classe media consumatrice nei Paesi in via di sviluppo, il commercio di beni si è sviluppato costantemente negli ultimi 15 anni; pur continuando ad esportare prodotti agricoli, le economie in via di sviluppo importano prodotti tecnologici come computer, smartphone e tablet, per non parlare di beni di consumo come abbigliamento, scarpe e prodotti alimentari di nicchia.
I servizi professionali sono molto richiesti: dal reclutamento, all’istruzione o alla consulenza di viaggio.