In molti sostengono che il modello di sviluppo di Dubai, “prima costruisco e poi riempio”, non possa più funzionare, che tra nuovi quartieri e grattacieli strappati al deserto, sia arrivato alla saturazione. Eppure Dubai si è espansa proprio così e, ancora una volta, passata una pandemia e con un Expo alle spalle, questa sembra la strada seguita dagli Sceicchi. Un aneddoto su tutti ama ricordare chi ha vissuto la crescita di Dubai: alla fine degli anni Settanta venne costruito un nuovo enorme porto, dal lato opposto rispetto a quello della città vecchia dei cacciatori di perle e dei pescatori, quando le navi che arrivavano in questi mari erano ancora poche e tutti i consulenti gridavano alla follia e all’inutilità di una nuova struttura. Oggi proprio quello, il Jebel Ali Port, è uno degli scali più grandi al mondo, con l’immenso quartiere dedicato alla logistica che si è sviluppato tutto attorno.
Expo 2020 Dubai
Ma veniamo ai nostri giorni e al discusso Expo 2020 Dubai. Ad un anno dalla prima esposizione universale del mondo arabo, costata 6,8 miliardi di dollari, e primo grande evento post Covid, quella che in molti pensavano sarebbe rimasta una cattedrale nel deserto, letteralmente rimangiata dalla sabbia in pochi mesi, si sta trasformando in un nuovo quartiere.
Prima costruisco e poi riempio: Expo City (https://www.expocitydubai.com/en), questo il nome scelto per l’area, che ha riaperto le sue porte lo scorso ottobre riconvertendo l’80% delle strutture dell’esposizione, è diventata una free zone dedicata alla tecnologia e alla sostenibilità. Sulla scia del motto di Expo “Connecting minds, creating the future”, qui alle startup e alle piccole imprese vengono offerti incentivi per partire, dalla licenza per operare al visto di residenza, fino agli affitti agevolati per gli uffici. Grandi gruppi come DP World, Siemens e Terminus sono stati i primi inquilini della nuova zona franca.
“Dopo Expo 2020 la necessità era quella di coglierne i valori e trasformarli in un progetto concreto a cui dare continuità e valenza sociale” Spiega Gianluca Marano, Ceo di SVA Group, società specializzata in internazionalizzazione attraverso servizi su misura per le aziende che vogliano diventare globali. “Dubai ha saputo sintetizzare al meglio tutto questo, in un’area dove idee innovative si intrecciano a spazi verdi e di co-working, e dove la tecnologia si è assunta un impegno importante in ottica di impronta ecologica. E’ sicuramente una grande opportunità per molte startup ed aziende italiane, ma non l’unica. Gli Emirati offrono infatti oltre quaranta free zone, che a vario titolo possono essere la giusta soluzione per le maggiori industries italiane”.
E alle spalle di Expo City, sta nascendo un interno nuovo quartiere residenziale, su quello che era l’Expo Village: Dubai South (www.dubaisouth.ae). “Expo City e Dubai South sono un’area in via di sviluppo, ma già vibrante – precisa Marano -. L’apertura del nuovo vicino aeroporto e la zona di Expo sono due epicentri che costituiscono uno snodo logistico fondamentale per la città, dove moltissime aziende italiane e non, hanno già deciso di insediarsi avendo capito per tempo l’incredibile potenziale di crescita dell’area”.
Un laboratorio per il futuro
“Il futuro appartiene a chi può immaginarlo, progettarlo e realizzarlo”. Sono i versi, in arabo, che si leggono sulla facciata del Museum of the Future di Dubai, l’ennesimo strabiliante edificio che si è aggiunto allo skyline della città. Non solo una attrazione turistica, ma un altro contenitore, da riempire: inaugurato lo scorso anno, lo spazio rappresenta un hub dedicato alla tecnologia e all’innovazione. Un laboratorio aperto al mondo che cerca know how e mette a confronto le idee.
Se sono ancora i proventi del petrolio a dare disponibilità pressoché illimitata agli Emirati Arabi di crescere, in termini di infrastrutture ed investimenti, il nutrimento di questa crescita, le conoscenze, continuano ad arrivare dall’estero. L’obiettivo della Dubai Future Foundation (https://www.dubaifuture.ae/), ente governativo che sta dietro al Museum of the Future, è di attrarre menti, incentivando startup e ricercatori a sviluppare qui i loro progetti e collaborando con privati che facciano da sponsor. Il programma prevede incubatori, acceleratori, concorsi, eventi e conferenza, per residenti e stranieri, raccolti sul sito Area 2071 (https://area2071.ae). La Fondazione ha messo a disposizione oltre 240 milioni di euro, che dovrebbero arrivare fino ad 1 miliardo in quattro anni, per portare qui, nel prossimo futuro, 1000 sturtup.
“Dubai sta avendo un ruolo di primissimo piano nel campo dell’innovazione e delle nuove tecnologie – prosegue Marano -. Ha ricevuto sicuramente una grande spinta con Expo 2020, che proseguirà con Cop28, la Conferenza delle Nazioni Unite del 2023 sui cambiamenti climatici, in programma dal 30 novembre al 12 dicembre prossimi, che si terrà proprio ad Expo City. Sono solo alcuni dei macro eventi rivolti al futuro e fondati sui cambiamenti, ormai imprescindibili, come sostenibilità, transizione energetica, intelligenza artificiale e sicurezza digitale”.
Lo scorso anno, durante Expo, l’Unesco ha addirittura proclamato il 2 dicembre, anniversario della nascita degli Emirati Arabi Uniti, Giornata internazionale del futuro, invitando tutti i Paesi del mondo ad incentivare e promuovere politiche rivolte alle prossime generazioni. “L’atteggiamento pionieristico di Dubai – conclude Marano – ha fatto sì che la città vedesse prima di altre la necessità di trovare soluzioni per le comunità che le vivono: da qui la forte propensione ad attrarre le startup più innovative e offrire loro l’opportunità di crescere in termini di capacità, ecosistema ed engagement”.